Quante volte viene pronunziata questa "minaccia" nella speranza di ottenere nell'interlocutore, e di fatto si coglie nel segno, una reazione di panico?
La paventata azione in genere ha una funzione di deterrente nel soggetto che la subisce e spinge al raggiungimento di accordi transattivi tra coniugi separandi.
Nei giudizi di separazione e divorzio molto spesso emergono circostanze tali da necessitare un approfondimento dei redditi del coniuge a causa di dichiarazioni dei redditi dalle quali emerge una lampante discrasia del dichiarato con il tenore di vita tenuto. E' possibile, quindi, richiedere al giudice un accertamento dei redditi effettivi a mezzo della Guardia di Finanza .
Le norme che consentono il ricorso a questo strumento che, come si vedrà, purtroppo, ha utilità ben diversa da quella sperata, ci sono.
C'è l' 736 bis cpc, l'art. 155 c.c, ultimo comma, come novellato dalla l. 54/2006 ed inerente il solo mantenimento dei minori, e l'art. 5 della legge divorzio, applicabile analogicamente ai giudizi di separazione. Anche gli artt. 210 e 213 cpc possono venirci in aiuto.
Nella prassi, tuttavia, è uno strumento poco utilizzato anche perché ci sono dei limiti per l'accoglimento della richiesta: se non ci sono elementi concreti dal quale desumere la esistenza di redditi occulti (ovvero un minimo indizio) esse non possono essere richieste giacchè sarebbe una istanza meramente esplorativa.
Il problema è che è difficile dimostrare che esistono dei redditi occulti e si cercadi ottenere dal giudice un ausilio con il ricorso alle indagini. Ma il giudice, mancando elementi di prova, rifiuta le richieste. Ecco il circolo vizioso!
Oppure, pur sussistendo gli elementi di prova, non è raro che tra la richiesta e l' ammissione passi sì tanto tempo da rendersi inutile la esecuzione della indagine. Questo perché quando sono eseguite le indagini il reddito occulto si è volatilizzato.
Le indagini tributarie in sé non comportano problematiche giuridiche particolari. Le norme ci sono basta applicarle. I problemi maggiori però sono quelli di carattere pratico.
I risultati che ne vengono fuori nella maggior parte dei casi sono formali, dati che qualunque professionista potrebbe acquisire anche e non solo con ordine del giudice, ottenendo lo stesso risultato.
La ritrosia denunziata ad ammettere questa forma di attività da parte dei magistrati dipende proprio dagli effetti pratici scadenti di tali indagini. Soprattutto quando già ci sono alcuni elementi che possano permettere una decisione in senso divergente rispetto al mero dato emergente dalle dichiarazioni fiscali.
E sempre che a quegli elementi il soggetto non dia una adeguata spiegazione.
La richiesta degli avvocati è spesso secca "si chiede ammettersi indagini a mezzo della Polizia Tributaria" ed essa sul piano pratico difficilmente può trovare accoglimento.
Occorre una contestazione specifica, indicare quali sono gli elementi che la motivano e cosa espressamente si chiede a mezzo delle indagini. Infatti, esse costituiscono un mezzo di prova eccezionale. La Guardia di Finanza è un ausiliario del giudice e non può sostituire l'onere probatorio della parte. Certo che se un coniuge non porta alcuna dichiarazione dei redditi, pur essendovi tenuto, la richiesta può essere meno analitica con meno indicazioni induttive perchè già il fatto è sufficiente a giustificare le indagini.
Occorre negli altri casi contestare sempre in modo più specifico e dare indicazioni sul tipo di indagini che si richiedono (su conti correnti, investimenti, società etc, intestazione fittizia di beni mobili od immobili a terzi) proprio perché è una attività sussidiaria.
Questa rigorosa interpretazione è necessaria per dare una impostazione che segua i principi giuridici ma è anche utile alla stessa Guardia di Finanza che ha a disposizione indicazioni mirate.
Per questo occorre formulare dei quesiti specifici.
Il rigetto che di sovente il Giudice Istruttore fà di una richiesta di indagine tributaria non è capotica ma giustificata dalla inappropriatezza della stessa. Per esempio, se un coniuge è dipendente e non risultano minimi indizi che svolga altre attività, la richiesta verrà per lo più rigettata. Più attenzione mostra il giudicante in genere quando si tratta di lavoratori autonomi. Ovvio che però se pur dimostrata la capacità di reddito del medesimo essa nulla abbia a che vedere con il tenore di vita matrimoniale a causa di fatti successivi avvenuti ed incontestati (es fallimento società), è inutile in tale caso ammettere le indagini finanziarie.
Nessuna norma preclude le indagini già nella fase presidenziale. Se durante la udienza emergono delle situazioni dubbie il Presidente può non solo ordinare delle acquisizioni documentali ma anche ricorrere alla polizia tributaria. Molto raramente questo però accade.
Ma come in concreto si muove la Polizia Tributaria?
In genere parte (e purtroppo a volte si limitano) dal recupero di ciò che risulta dai registri pubblici: visure catastali, partecipazioni societarie. Passando poi al saldo attivo o passivo dei conti correnti (evidenziando movimentazioni di danaro di una certa consistenza che potrebbero essere utili), investimenti, polizze assicurative, mutui, prestiti personali. Difficilmente si spingono oltre. E questo anche per l'organizzazione stessa della GDF. Essa ha ordini dai vertici ad inizio anno di eseguire un tot numero di verifiche in questo settore tante in quest'altro. Quando arrivano richieste dei Tribunali hanno problemi organizzativi e non sanno come collocarle nel loro piano operativo. Era forse meglio quando c'era un nucleo di polizia tributaria … la situazione oggi si è aggravata anche per questo motivo.
Alcuni giudici ritengono che sarebbe più efficace convocare in udienza l'ufficiale di GDF, come un consulente tecnico qualsiasi, in modo tale non solo da spiegargli esattamente le finalità del provvedimento ma anche per responsabilizzare il medesimo nel raggiungimento della stessa.
Non possiamo rinunziare a questo strumento indispensabile ma occorre renderlo più efficace ed idoneo a raggiungere le finalità per cui è nato!


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