Qualche settimana fa ha suscitato scalpore e meraviglia la sentenza emessa lo scorso 9 Aprile dalla Corte d'Appello di Bologna, in tema di convivenza more uxorio ed assegno divorzile, riportata su tutti i grandi media nazionali come innovativa se non addirittura rivoluzionaria.
Ma è davvero cosà¬?
Il caso esaminato è quello di una coppia bolognese e senza figli, giunta dieci anni or sono alla separazione legale; in quella sede veniva stabilito che il marito fosse tenuto a corrispondere un assegno di mantenimento a favore della moglie.
Al momento del divorzio, il marito chiedeva la revoca della statuizione in considerazione del fatto che la moglie da tempo era legata stabilmente ad un altro uomo. Ebbene, il tribunale gli dava ragione e la moglie proponeva appello.
A questo punto i giudici di appello confermavano la decisione di primo grado specificando che "˜'Il nodo fondamentale della controversia dalla cui soluzione dipende l'immediato esito o lo sviluppo del giudizio, e' quello della compatibilità del diritto all'assegno divorzile con la instaurazione di una convivenza more uxorio da parte del potenziale avente diritto. E, nel caso in questione, precisa la Corte, che "tale convivenza esista, e' ormai pacificamente acquisito".
Dunque stop al mantenimento per l'ex coniuge che abbia avviato una nuova relazione stabile con altra persona, pur non essendone unita da vincoli sacramentali.
Secondo la Corte, il nuovo legame, cioè la cosiddetta famiglia di fatto, "˜'altera o rescinde la relazione con il tenore e il modello di vita caratterizzante la pregressa convivenza matrimoniale e, cosà¬, il presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile''.
La corte ha anche escluso che l'ex marito dovesse fornire la prova di un miglioramento delle condizioni economiche della donna con la nuova relazione, invocando invece il criterio fatto proprio dalla Cassazione già nell'agosto del 2011, per cui «l'instaurazione di un rapporto stabile e duraturo di convivenza (famiglia di fatto)» cancella «il presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile».
La sentenza in oggetto è stata definita da molti innovativa, dirompente, quasi rivoluzionaria. Si grida ad un silente riconoscimento giuridico delle famiglie di fatto, quasi ad una equiparazione con quella di diritto. Scatena polemiche circa l'inerzia del legislatore italiano rispetto a cambiamenti sociali di cosଠgrande rilievo e sottolinea secondo molti la dinamicità dei nostri giudici rispetto a chi ci governa.
In verità a noi sembra che la Corte abbia più che altro valutato le conseguenze che una convivenza stabile con un'altra persona può avere rispetto ad un precedente matrimonio, ribadendo dei principi che già da tempo andava elaborando.
Ad esempio, in una sentenza del 2010. n° 1096, la Suprema Corte richiamava un precedente addirittura del 2006 con queste parole: "..La Corte d'Appello infatti, richiamando la giurisprudenza di questa Corte ( Cass. 24056/06), ha sottolineato che il carattere precario del rapporto di convivenza more - uxorio consente di considerare gli eventuali benefici economici che ne derivino idonei ad incidere sulla misura dell'assegno in quanto, proprio in considerazione di detta precarietà , è destinato ad influire su quella parte dell'assegno volto ad assicurare quelle condizioni minime di autonomia giuridicamente garantite che l'art. 5 della legge sul divorzio ha inteso tutelare finchè l'avente diritto non contragga un nuovo matrimonio...".
Dal che si evidenzia come da molti anni gli Ermellini andavano ragionando in merito alle conseguenze economiche della convivenza, valutandone prudentemente gli eventuali benefici economici caso per caso.
Anche nel caso di Bologna i giudici mostrano la medesima prudenza: se da un lato stabiliscono che il nuovo legame "˜'altera o rescinde la relazione con il tenore e il modello di vita caratterizzante la pregressa convivenza matrimoniale e, cosà¬, il presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile'', dall'altro precisano che il diritto al mantenimento si trovi in realtà in uno "stato di quiescenza, potendosene riproporre l'attualità per l'ipotesi di rottura della convivenza"; in pratica la precarietà della nuova situazione va comunque tenuta in conto in quanto l'assegno (e i giudici sono stati molto chiari sul punto) tornerebbe a rivivere di vita propria ove il nuovo legame dovesse malauguratamente (per il marito!!) interrompersi.
Peraltro l'attuale pronunzia fa capo alla precedente della Corte di Cassazione, la numero 17195 dell'11 agosto 2011 che si pronuncia sul rapporto tra "mera convivenza" e "diritto all'assegno di mantenimento".
La Corte in questo caso più che innovare, ha voluto, in base al criterio generale di ragionevolezza, chiarire, anzi, distinguere, all'interno dei cosiddetti rapporti di fatto, quelli dotati dei crismi della stabilità e della costanza, ossia quelli caratterizzati "dall'arricchimento e potenziamento reciproco della persona dei conviventi" e dalla "trasmissione di valori educativi ai figli", ricollegando a questi conseguenze giuridiche diverse da quelle riconosciute alla categoria generale di appartenenza.
Perciò la Corte, non ha propriamente o impropriamente inteso riconoscere valore giuridico alle famiglie di fatto, limitandosi esclusivamente ad indagarne il "valore economico", idoneo, o meno, a far decadere il diritto alla corresponsione di un assegno di mantenimento, ovverosia a migliorare la condizione economica di chi, a tale assegno, aveva in precedenza diritto.
Viene quindi stabilito il seguente principio di diritto: "In caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, l'instaurazione di una famiglia di fatto, quale rapporto stabile e duraturo di convivenza, attuato da uno degli ex coniugi, rescinde ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa convivenza matrimoniale e, in relazione ad essa, il presupposto per la riconoscibilità , a carico dell'altro coniuge, di un assegno divorzile, il diritto al quale entra cosଠin uno stato di quiescenza, potendosene invero riproporre l'attualità per l'ipotesi di rottura della nuova convivenza tra i familiari di fatto".
La Corte d'Appello di Bologna, dunque, non ha fatto altro che applicare secondo buon senso principi già da tempo introdotti sul tema, traendone le logiche conseguenze giuridiche.
In definitiva, il coniuge che decida di creare un nuovo nucleo familiare, seppur non formalizzato con un matrimonio, potrà perdere (non necessariamente in maniera definitiva) il mantenimento da parte dell'ex marito; presupposto indispensabile perchè ciò accada, però, è che il nuovo nucleo "di fatto" abbia, della famiglia "di diritto", ogni connotato sentimentale ed economico e dunque che sia in grado di rescindere tutte le connessioni con il precedente tenore di vita sostituendolo con diverse ed altre risorse morali e materiali.
Nessuna rivoluzione, quindi, ma solo la logica elaborazione giurisprudenziale di principi già posti ed in continua evoluzione.
Resta solo da dolersi per l'ennesima occasione perduta dalla stampa nazionale che, invece di occuparsi di corretta informazione, preferisce troppo spesso ricorrere a toni inutilmente sopra le righe.
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