Di Redazione
Ai sensi dell' art. 35, comma 4, della l. n. 184 del 1983, si potrebbe riconoscere la kafala quale affidamento preadottivo nel caso, poco reale, di ratificata della Convenzione dell' Aja o di una Convenzione bilaterale da parte dei Paesi musulmani: in questi casi, infatti, l'accettazione della Convenzione comporterebbe l' impegno degli Stati membri a dar luogo ad un sistema giuridico in cui i rispettivi provvedimenti siano riconosciuti reciprocamente. Infatti l'art. 27 della Convenzione dell'Aja prevede che: "l'adozione fatta nello Stato di origine, se non ha per effetto di porre fine al legame preesistente di filiazione, può essere convertita, nello Stato di accoglienza che la riconosce in conformità alla Convenzione, in una adozione che produce questo effetto a) se l'ordinamento giuridico dello Stato di accoglienza lo consente; e b) se i consensi previsti dall'art. 4, lettere c) e d) sono stati o sono prestati in considerazione di una tale adozione".
Ciò non è possibile, quando la kafala sia pronunciata in quei Paesi che non sono membri della Convenzione e dove l'istituto islamico non produce gli effetti della adozione, ovvero la creazione di un legame di filiazione.
Ne consegue, quindi, che in assenza di un Accordo bilaterale o della ratifica della Convenzione dell'Aja da parte di uno Stato musulmano, non si puo' convertire un provvedimento di kafala in adozione o in un affidamento.
Non potendo "convertire" un provvedimento di kafala in adozione o in affidamento, esistono degli strumenti, nella normativa italiana, per attribuire un valore giuridico alla kafala?
La kafala non avendo le caratteristiche giuridiche di un adozione, non è riconoscibile come tale, ma presenta delle caratteristiche affini all'istituto dell' "adozione in casi particolari" disciplinata dall'art. 44 della l. n. 184 del 1983: in questi casi, come avviene nella kafala, l'adottato non assume lo status di figlio legittimo, non tronca il rapporto con la famiglia di origine, della quale mantiene il cognome anche se vi aggiunge quello del genitore adottivo, non perde il proprio status giuridico e la propria cittadinanza, con la conseguenza che, se il minore viene trasferito all'estero, continua a sussistere la protezione offerta dal suo Paese di origine. Inoltre, come nel caso della kafala, il genitore adottivo assume il dovere di educare, istruire e mantenere il figlio, esercita su di lui la patria potestà ed il minore non acquisisce diritti successori nella famiglia adottiva. A differenza di quanto avviene con la kafala, il minore oggetto di adozione semplice acquisisce i diritti successori nei confronti dell'adottante ed i rapporti giuridici che lo legano a lui non cessano con la maggiore età .
Resta, tuttavia, da segnalare che la legge italiana richiama solamente "le adozioni" straniere ed i provvedimenti di "adozione o di affidamento preadottivo" emanati all'estero. A tali nozioni non sembrano essere pienamente riconducibili i provvedimenti di kafala. In assenza di una giurisprudenza sul punto, non si può affermare con certezza nà© che la l. n. 184 del 1983 (nella parte in cui disciplina le adozioni "in casi particolari") sia applicabile alla kafala, nà© che non lo sia. Sembra, quindi, opportuno provare a delineare quali siano le eventuali procedure applicabili nel caso affermativo.
Nel caso in cui si ritenga che il nuovo testo della l. n. 184 del 1983 sia applicabile alla kafala anche in assenza di un Accordo bilaterale, o della ratifica da parte di un Paese musulmano della Convenzione, è necessario seguire questo iter: gli aspiranti genitori adottivi devono ottenere il decreto di idoneità all'adozione e rivolgersi ad un'ente autorizzato. In tal modo la Commissione autorizzerà l'ingresso del minore in Italia, se si trova in uno stato di abbandono del minore ed il Tribunale per i minorenni potrà , quindi, riconoscere il provvedimento straniero quale adozione "in casi particolari". In effetti, è stata sostanzialmente questa la procedura seguita dal Tribunale per i minorenni di Trento, con sentenza del 11 marzo 2002 per gestire una situazione che si è presentata in materia di kafala.
La dottrina dominante, invece prospetta la percorribilità di una via diversa, quella che fa leva sull'applicazione della l. n. 218 del 1995: tale possibilità si base sull' art. 41 della l. n. 218 del 1995, secondo cui un provvedimento straniero in materia di adozione può essere riconosciuto in Italia, semprechà© non rientri nell'ambito di applicazione delle Leggi speciali in materia di adozione e, come si è detto, la kafala potrebbe non rientrare nell'ambito di applicazione della legge sull'adozione dei minori. La Corte d'appello territorialmente competente potrebbe, dunque, essere considerata abilitata a dichiarare l'efficacia in Italia di tale provvedimento: in particolare, in sede di riconoscimento del provvedimento straniero la Corte d'appello non sarà abilitata a modificare la natura giuridica del provvedimento emanato all'estero, che dovrà essere riconosciuto valido in Italia quale kafala.
Tags:

+39 081 5922000