di Avv. Redazione

Costante orientamento giurisprudenziale ritiene che l'assegno divorzile abbia una natura assistenziale, ovvero abbia lo scopo di garantire al coniuge, incapace di procurarsi mezzi adeguati di sostentamento, lo stesso tenore di vita rispetto a quello goduto durante il matrimonio. Ma cosa si intende per mezzi adeguati?

La dottrina si divide in due posizioni: da un lato c'è chi attribuisce all'assegno di divorzio un carattere di solidarietà economica fra i coniugi assimilabile all'assegno di mantenimento di cui all'art. 156, 1 comma, c.c., ovvero che sia dovuto per sopperire allo stato di bisogno economico dell'ex coniuge inteso, però, quale idoneità a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio; dall'altra parte, c'è chi sostiene che considerato che con il divorzio si scioglie il vincolo matrimoniale, l'adeguatezza dei mezzi deve essere intesa come la capacità del coniuge di provvedere da sà© alle proprie esigenze e bisogni di vita, nel rispetto delle attitudini e propensioni personali: solo nel caso in cui non abbia alcun reddito, l'altro coniuge, economicamente più forte, ha l'obbligo di somministrare quanto sia necessario all'altro per rendersi economicamente autonomo, senza alcun possibile riferimento al pregresso tenore di vita.

Sulla questione è intervenuta la Corte di Cassazione a Sez. Unite con la sentenza n. 11490 del 29.11.1990 che, affermando la natura esclusivamente assistenziale dell'assegno di divorzio, individuano come unico presupposto per concedere l'assegno, quello dell'inadeguatezza dei mezzi, del coniuge richiedente, a conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. La Corte ha specificato che il tenore di vita, da considerare come termine di riferimento, è, non soltanto quello che i coniugi hanno concretamente mantenuto nel corso del matrimonio, ma anche quello che avrebbero potuto mantenere in base alle loro potenzialità economiche (Cass., 26.11.1996, n. 10465). Ne consegue, quindi, che il coniuge richiedente l'assegno non deve necessariamente trovarsi in uno stato di bisogno, ma pur essendo economicamente autosufficiente, in seguito al divorzio, le sue condizioni economiche possono aver subito un rilevante deterioramento. Per ristabilire una situazione di equilibrio, l'altro coniuge è tenuto a corrispondere l'assegno.

Interessante è il caso posto all'attenzione della Cassazione e risolto con la sentenza 4 novembre 2009, n. 23409: il marito aveva adito la Suprema Corte per ottenere la revocazione dell'assegno divorzile riconosciuto all'ex moglie in quanto la stessa pur avendo una capacità lavorativa, in quanto abilitata alla professione di psicologo e titolare di una laurea in lingue, non svolgeva alcuna attività lavorativa e lui lamentava, al contempo, la sopravvenuta diminuzione dei propri redditi. Orbene, la Corte ha rigettato il ricorso proposto dal marito rilevando che le potenzialità professionali della moglie, infatti, non inibiscono il diritto a ricevere l'assegno ma ne determinano la riduzione del quantum. Inoltre, la Corte ha specificato che l'accertamento della relativa capacità lavorativa va compiuto non in astratto, ma in concreto, dovendo tenere conto di tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi, in concreto, in rapporto ad ogni fattore economico sociale, individuale, ambientale e territoriale. La Cassazione, quindi, conferma che l'assegno ha lo scopo di conservare lo stesso tenore di vita tenuto durante il matrimonio, pertanto, il ricorrente deve continuare a versare l'assegno divorzile alla ex moglie, anche se, questa, possiede le capacità professionali per poter svolgere un'attività lavorativa.

L'unica speranza per i mariti di vedersi revocato l'assegno divorzile è o che l'ex coniuge contragga nuove nozze oppure che raggiunga condizioni economiche equivalenti o addirittura migliori alle proprie!


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