di Federico Petitti
Le notizie di questi ultimi giorni ci hanno indotto ad alcune riflessioni. Le prime notizie in ordine di tempo riguardano le pretese "aperture" di Papa Francesco relative ai divorziati che si risposano ed ai rapporti della Chiesa con i non credenti; le altre l'imposizione del bracciale elettronico agli stalker e la possibilità di ricorrere alla fecondazione assistita ed alle diagnosi preimpianto, con costi a carico del S.S.N.
La ormai ben nota intervista del Papa alla rivista dei gesuiti, Civiltà Cattolica, e la lettera da lui indirizzata ad Eugenio Scalfari hanno indotto a pensare a passi in avanti nei temi trattati, mentre in realtà ci sembrano un mero richiamo alle origini del cristianesimo, alla nuova dottrina proclamata da Cristo, semplice, diretta, senza implicazioni e complicazioni teologiche. Gesù rimise i peccati all'adultera, al ladrone sulla croce ed ad altri peccatori, leggendo la conversione nei loro animi. Giustamente quindi Papa Francesco ha richiamato il principio del noli iudicare per divorziati e gay, affermando di non poter giudicare: vero giudice unico è solo il Signore, in quando conosce in profondità l'animo umano. Per quanto attiene i divorziati che si risposano il Papa ha invitato il collegio di otto cardinali di sua recente istituzione a riesaminare in modo approfondito ed estensivo tutta la materia, senza limitarsi cioè alla possibilità o meno di ammetterli all'eucaristia.
Sono state, quelle papali, esternazioni che non possono far pensare ad innovazioni epocali della Chiesa. Ne sia prova il fatto che in questi giorni Papa Francesco ha firmato la scomunica ad un ex sacerdote australiano colpevole di diffondere pensieri lontani da quelli tradizionalmente ecclesiastici in materia di matrimoni gay,, coppie di fatto ed ammissione delle donne al sacerdozio. Quando si tratta di apportare innovazioni la Chiesa è estremamente guardinga ed impiega anche secoli prima di decidersi. Ben noto è l'aforismo: "l'orologio del Signore batte le ere". Non le ore.
Di rilievo comunque che il recente convegno tenutosi nella Settimana Sociale di Torino ha stigmatizzato la scarsa attenzione che la politica negli ultimi cinquant'anni ha dedicato al problema famiglia.
Orbene, se la pazienza deve rappresentare una peculiarità de fedeli, i cittadini per contro hanno diritto di pretendere dal legislatore un pronto accoglimento del comune sentire. Fin ora il nostro legislatore, quando ha dovuto affrontare le problematiche relative alla famiglia, ha più che altro maturato provvedimenti tampone per situazioni di emergenza, senza mai affrontarne con un piano organico l'intera materia, lasciando ancor oggi scoperte esigenze che pur sono avvertite come di primaria necessità da una gran parte dei cittadini. Passi in avanti sono stati di volta in volta compiuti per effetto di consolidati orientamenti giurisprudenziali o per la spinta di accadimenti di particolare gravità.
E' di oggi, ad esempio, la decisione delle commissioni Giustizia ed Affari Costituzionali di approvare due emendamenti al decreto legge sul femminicidio, per introdurre una miglior tutela delle vittime, imponendo il braccialetto elettronico agli stalker e ricorrendo alle intercettazioni telefoniche.
Altra notizia riguarda il Tribunale di Roma che ha riconosciuto il diritto di una coppia portatrice di fibrosi cistica ad accedere alla diagnosi preimpianto ed alla fecondazione assistita, con spese a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
Ricorderete che tempo fa auspicammo provvedimenti a carico degli stalker, tra questi il ricorso al braccialetto elettronico e, meglio ancora, all'allontanamento coatto del reo, così come auspicammo delle aperture per i casi in cui si rendesse necessario l'esame di preimpianto.
I ritardi accusati dai nostri governanti in materia di coppie di fatto sono purtroppo più che sintomatici. L'unione di fatto di persone che si scoprono affini per interessi, stile di vita, cultura, ecc., oltre alla imprescindibile attrazione fisica, non è più catalogabile quale fenomeno marginale. Le coppie di fatto sono in netto implemento, tanto da far ritenere che in tempi non molto lontani il numero delle coppie di fatto si avvicinerà a quelle ritualmente sposate. Eppure siamo ancora lontani dal disporre di norme giuridiche che disciplinino i diritti delle persone che decidono di unire la propria esistenza in una convivenza di fatto. I diritti dei conviventi sono ancora trascurati dal legislatore, che ha fatto dei passi in avanti solo relativamente alla prole. I nostri governanti ancor oggi ignorano il dramma che si abbatte sul superstite di una unione di fatto nel caso di morte del convivente. Patrimonialmente le coppie avvedute, con l'ausilio di un legale, meglio se esperto in diritto di famiglia, possono prevenire i gravi stati di disagio, le diatribe con gli eredi e le conseguenti liti giudiziarie. Quando però l'unica sussistenza finanziaria della coppia è costituita dal trattamento pensionistico soltanto di uno dei due, il decesso del titolare di pensione provoca notevolissime difficoltà finanziarie al superstite, specie se di età avanzata. Questa è una situazione non rara che il legislatore ancora non si decide a prendere in esame e disciplinare, estendendo al superstite il trattamento pensionistico del defunto, al pari di quanto è previsto per le coppie sposate.
A quest'ultimo proposito, è il caso di soffermarci su di una situazione paradossale. Mentre il predetto superstite rischia la totale indigenza, la badante (o il badante) moldavo che induce a nozze un ringalluzzito ultraottantenne (magari un po' "rinco"), tranquillamento diviene titolare del trattamento pensionistico del de cuius, oltre che erede a tutti gli effetti, per l'attribuzione degli altri beni.
Il legislatore dovrebbe avvertire l'esigenza di tutelare la coppia di fatto, quanto meno incominciando con il riconoscere al convivente superstite parte della pensione, al pari di quanto avviene per le coppie sposate, con il presupposto che la convivenza si sia protratta per un numero significativo di anni. E' una proposta "estemporanea"? E' mera utopia? Certo sarebbe da raccordare tale specifica legge con la pregressa disciplina normativa ( come lo è necessario per qualsiasi nuova legge). Per questo motivo, allo stato dei fatti abbiamo indicato come stemporanea la nostra idea, che forse è troppo progressista.
Ricordiamo comunque che con il decorso del tempo prescritto è possibile acquisire il diritto di proprietà immobiliare con l'usucapione o, in tempi ben più ridotti, la proprietà di beni mobili. Così come in altre vicende giudiziarie il decorso del tempo può far perdere il diritto all'esercizio della legittimazione sia attiva sia passiva Ma perché non dovrebbe essere possibile applicare questo stesso principio alle vicende delle unioni di fatto?
La durata nel tempo della civile convivenza di due persone deve far acquisire loro gli stessi diritti delle coppie unite da rituale matrimonio. Sarebbe sufficiente una leggina che stabilisca la durata minima richiesta per la convivenza e le condizioni necessarie per essere riconosciuti titolari di diritti del tutto pari a quelli che maturano le coppie "regolari". Ma fin ora nulla si è mosso in tal senso. Non resta quindi che sollecitare ed aspettare che l'attenzione del legislatore sia attratta dal problema . Il tutto in tempi sintonizzati sull'ora legale e non sull' "era" di Dio.
Tags: chiesa divorziati

+39 081 5922000