Di Redazione

La Convenzione dell' Aja, non è applicabile ai casi di minori sottoposti alla kafala in quanto ai sensi dell'art. 2, par. 2, la stessa Convenzione trova applicazione alle adozioni che sono finalizzate a creare un rapporto permanente tra padre e figlio, rapporto che non si crea kafala.
La circostanza che la Convenzione dell'Aja del 1993 non è applicabile alla kafala, non implica che quest'ultima debba essere considerata vietata, o che il diritto interno di uno Stato membro della Convenzione non sia legittimato a riconoscerla e convertirla in una adozione.
In Italia, prima della riforma della l. 184/83, ci sono stati dei casi in cui i giudici hanno convertito provvedimenti di kafala prima in affidamenti preadottivi e poi in vere e proprie adozioni e ciò avveniva in base agli artt. 31 e 32 che prevedevano la competenza del Tribunale per i minorenni a dichiarare "l'efficacia nello Stato dei provvedimenti di adozione o di affidamento preadottivo del minore emessi da una autorità straniera nei confronti di cittadini italiani residenti in Italia o nello Stato straniero, o altro provvedimento in materia di tutela e degli altri istituti di protezione dei minori" .
Data la voluta genericità del richiamo, la kafala, che a giusto titolo viene considerata un "istituto di protezione dei minori", poteva certamente essere convertita in affidamento preadottivo ed in adozione
Il nuovo testo della l. n. 184 del 1983 prevede tre percorsi distinti per ottenere il riconoscimento di adozioni pronunciate all'estero:
il primo è relativo all'adozione di minori provenienti dai Paesi membri della Convenzione dell'Aja: in tal caso le adozioni pronunciate in Paesi membri della Convenzione de L'Aja "sono riconosciute" nel nostro Paese
il secondo è relativo alle adozioni provenienti dai Paesi che non hanno ratificato la Convenzione: le adozioni pronunciate in Paesi che non sono membri della stessa Convenzione "possono essere riconosciute" in Italia, semprechà© ricorrano le condizioni fissate nell'art. 36, comma 2, del nuovo testo della l. n. 184 del 1983
il terzo è relativo alle adozioni pronunciate nei Paesi in cui i genitori adottivi hanno avuto residenza per almeno due anni: l'espressione usata nella l. n. 184 del 1983 è, nuovamente, "sono riconosciute".
Le tre disposizioni, quindi, sono riferite ad atti giuridici stranieri identificati in maniera diversa, ma accomunati comunque da una maggior precisione rispetto al vecchio testo della legge, che finiva con l'equiparare i provvedimenti di adozione o di affidamento preadottivo agli "altri provvedimenti" e agli "altri istituti" in materia di tutela e protezione dei minori.
In particolare, l'attuale art. 35 della l. n. 184, "riconosce" la validità delle adozioni pronunciate in Paesi membri della Convenzione dell'Aja, nel caso in cui sia previsto che l'adozione debba perfezionarsi dopo l'arrivo del minore in Italia, e quindi riconosce i "provvedimenti" emanati in quei Paesi in quanto finalizzati a consentire l'adozione del minore nel Paese di destinazione (L'art. 35, comma 4, della l. n. 184 del 1983, cosଠcome modificato dalla l. n. 476 del 1998, prevede che, "qualora l'adozione debba perfezionarsi dopo l'arrivo del minore in Italia, il Tribunale per i minorenni riconosce il provvedimento dell'autorità straniera (qualunque provvedimento, non è specificato) come affidamento preadottivo, se non contrario ai princà¬pi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, valutati in relazione al superiore interesse del minore, e stabilisce la durata del predetto affidamento in un anno, che decorre dall'inserimento del minore nella nuova famiglia").
L'art. 36, comma 2, della l. n. 184, consente il riconoscimento delle adozioni di minori provenienti da Paesi non membri della Convenzione de L'Aja, e riconosce unicamente i provvedimenti di "adozione o di affidamento preadottivo" ("l'adozione o affidamento a scopo adottivo, pronunciati in un Paese non aderente alla Convenzione, nà© firmatario di Accordi bilaterali, possono essere dichiarati efficaci in Italia a condizione che: a) sia accertata la condizione di abbandono del minore straniero, o il consenso dei genitori naturali ad una adozione che determini per il minore adottato l'acquisizione dello stato di figlio legittimo degli adottanti e la cessazione dei rapporti giuridici fra il minore e la famiglia d'origine; b) gli adottanti abbiano ottenuto il decreto di idoneità previsto dall'art. 30 e le procedure adottive siano state effettuate con l'intervento della Commissione di cui all'art. 38 e di un ente autorizzato; c) siano state rispettate le indicazioni contenute nel decreto di idoneità ; d) sia stata concessa l'autorizzazione prevista dall'art. 39, comma 1, 1ettera h").
L'art. 36, comma 4, consente il riconoscimento delle adozioni pronunciate nei Paesi in cui i genitori adottivi hanno risieduto per almeno due anni, ed è ancora formulato in maniera diversa rispetto ai due casi precedenti, richiamando esclusivamente i provvedimenti di "adozione" ("l'adozione pronunciata dalla competente autorità di un Paese straniero a istanza di cittadini italiani, che dimostrino al momento della pronuncia di aver soggiornato continuativamente nello stesso e di avervi avuto la residenza da almeno due anni, viene riconosciuta ad ogni effetto in Italia con provvedimento del Tribunale per i minorenni, purchà© conforme ai princà¬pi della Convenzione").
La differente formulazione delle tre disposizioni è dovuta dalla differenza di natura sostanziale.
La maggior precisione usata nella seconda e nella terza disposizione è frutto dell'esigenza di assicurare che il provvedimento di adozione pronunciato in Italia non sia tale da modificare la natura giuridica del provvedimento originario, esigenza che, invece, non risulta nel primo caso ove la ratifica da parte di una pluralità di Stati della Convenzione comporta che quegli Stati hanno riconosciuto e accettato un comune concetto di adozione, intesa quale strumento determinante la creazione di un legame di filiazione tra i genitori adottivi ed il minore che viene adottato.
Diverso è il caso del provvedimento emanato in un Paese che non ha ratificato tale Convenzione: Paese che resta pienamente legittimato a darsi un sistema normativo che consenta le adozioni, che le vieti , che preveda il ricorso a strumenti di tutela dei minori abbandonati diversi dall'adozione. Il legislatore italiano, preso atto della libertà degli Stati di dotarsi di sistemi di tutela del minore diversi dall'adozione, si preoccupa di accertare che i giudici nazionali non snaturino un provvedimento straniero che non è di adozione tramutandolo in adozione, anche per evitare frizioni internazionali.
Se ad es. si tramutasse la kafala in adozione si verrebbe a creare una situazione ibrida: al minore, in violazione della normativa islamica, verrebbe cambiato il cognome, la cittadinanza e diventerebbe figlio legittimo dei cittadini italiani. Tale pronuncia non potrebbe mai essere riconosciuta valida nei paesi islamici perchè contraria all'ordine pubblico di quei Paesi e si creerebbe una situazione giuridica incerta in quanto sia l'Italia che il Paese islamico considererebbero il minore come proprio cittadino!! Se per ipotesi i genitori biologici del minore reclamassero il rimpatrio del proprio figlio, le autorità giurisdizionali italiane lo dovrebbero rifiutare (visto che sarebbe in contrasto con il nuovo status del minore di figlio legittimo di cittadini italiani) e si potrebbe ben verificare un incidente internazionale!!
Situazione simile si potrebbe verificare per le adozioni pronunciate all'estero in favore di genitori adottivi italiani ivi residenti da almeno due anni. Tale genere di adozione è un adozione "interna" e non internazionale. Ne consegue, quindi, che non devono essere rispettare alcune disposizioni della legge italiana, ma impone di prestare attenzione a non modificare la natura del provvedimento di cui si riconosce la validità . Proprio per questo il legislatore si è premurato di consentire che possano essere dichiarati efficaci i soli provvedimenti di adozione.


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