di Cinzia Petitti
Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con arresto 8.02.2011 n. 3034, affrontano il delicato tema del rapporto tra il diritto alla riservatezza e il diritto a difendersi in giudizio.
Quale diritto prevale in concreto?
Il caso affrontato dalla Cassazione è frequente nei giudizi di separazione e divorzio: in un procedimento di divorzio, il giudice istruttore ordina ad un coniuge l'esibizione di documentazione relativa ai rapporti bancari attivi presso diversi istituti bancari. L'altro coniuge, nelle more dell'adempimento dell'obbligato, notifica agli enti copia conforme dell'ordine di esibizione emesso dal giudice e riportato nel verbale di udienza. Nel verbale oggetto della notifica, tuttavia, oltre all'ordine del giudice ex art. 210 cpc sono anche contenute notizie riservate sullo stato di salute dell'onerato. Quest'ultimo convoca in autonomo giudizio per ottenere il risarcimento dei danni patiti per violazione della privacy tanto l'ex coniuge tanto i suoi legali che non avrebbero utilizzato idonee misure per la tutela dei dati. Il tribunale di Milano rigetta il ricorso non individuando lesione della privacy ma legittimo il comportamento denunziato.
Giunto in cassazione il caso, le Sez. Unite colgono l'occasione per affermare alcuni principi in materia.
Nella soluzione del contrasto tra diritto di privacy e corretto svolgimento del processo, la cassazione fa prevalere il secondo interesse, in virtù della sua specialità.
In conclusione la ratio delle norme del codice di rito può pregiudicare la riservatezza delle parti del processo.
Il diritto alla privacy, quindi cede il passo al diritto alla difesa in giudizio
(art. 24 l. privacy che autorizza i trattamenti dei dati personali qualora essi occorrano per difendere un diritto in giudizio).
il rispetto delle norme di procedura implica, di per sé, anche il rispetto della privacy è il principio che ne esce dalla richiamata cassazione.
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